Il brand come lo intendiamo oggi, in origine era garanzia di affidabilità e qualità dei prodotti. Col tempo si è evoluto, secondo le caratterizzazioni in life style , modi di pensare o gruppi di appartenenza. Come lo Swoosh della Nike, ad esempio o la mela di Apple.
Le aziende diventano “brand” costruendosi una personalità e portando sul mercato il proprio set di valori. Si pensi a IBM e Apple, due produttori di computer con caratteri completamente diversi che si sono divisi il mercato dei Personal. I clienti di entrambe le marche sono fedeli al loro brand e credono nei prodotti al punto da radicalizzarsi nei due gruppi di appartenenza, PC e Mac. Il risultato sono infuocate discussioni su vantaggi e svantaggi di un marchio rispetto all’altro.

Questo bagaglio di valori e personalità viene definito da qualcuno come Essenza del brand, o Promessa del brand o Brand DNA. Resta il fatto che il marchio incoraggia la fedeltà del consumatore e giustifica un prezzo più alto. È un condensato di informazioni sull’azienda, sulla sua storia, sulla qualità e sull’affidabilità dei prodotti. Una comunicazione veloce al consumatore, per semplificare la sua decisione d’acquisto. Un brand è qualcosa di più che un nome, è un’identificatore, è un pacchetto di valori aggiunti, un’offerta di benefìci funzionali e psicologici al consumatore. Valori facilmente riconoscibili nei prodotti, dal packaging, dal prezzo, dal colore, dalla forma, dal profumo e dal gusto.
Costruire un marchio implica costanza, attenzione, lungimiranza, e la consapevolezza che tutto concorre alla formazione di questo patrimonio. Come il prodotto, ogni azione intrapresa è importante e parla dell’azienda. Come qualsiasi punto di contatto con il consumatore: il personale, gli uffici, i punti vendita, i mezzi di trasporto, il customer care, la distribuzione, le promozioni e ovviamente la pubblicità.
Ecco il compito della pubblicità: essa non fa altro che costruire una brand equity attraverso la vendita dei prodotti. Ma è la parte più visibile e importante del processo di formazione del brand: attraverso la pubblicità il consumatore ha il primo contatto con il prodotto e forma una prima impressione sulla marca.

Le strategie.

Le strategie sono le fondamenta sulle quali si costruiscono i brand. Sono i binari sui quali la pubblicità e ogni altro elemento del marketing viaggiano per arrivare ad una personalità consistente. Sono l’anima del marchio e l’elemento cruciale del suo successo. Se la strategia è corretta, se la promessa colpisce il consumatore alla testa, al cuore o allo stomaco, e la pubblicità la comunica chiaramente, il gioco è fatto!
Le aziende dovrebbero coinvolgere il team creativo già nella fase di elaborazione delle strategie, un punto di vista esterno può fornire una visione più fresca e chiara e non sarà più necessario un brief. Purtroppo, il più delle volte le agenzie vengono chiamate per abbigliare strategie e centrare obiettivi già definiti dal marketing dell’impresa.

Il brief.
Serve per orientare il team creativo fornendo dati, analizzando situazioni e individuando obiettivi e target. Nel brief l’azienda deve riformulare la strategia in base alla situazione corrente, evitando informazioni superficiali e frasi fatte. Un brief ben scritto guida il team creativo attraverso i vincoli della strategia e lo stimola a raggiungere obiettivi più ampi.
Ogni qualvolta intendiate cambiare la vostra pubblicità, tenete presente la strategia e l’idea che ne è alla base: il primo punto da centrare è il key benefit. Deve balzar fuori dai vostri annunci e azzannare.

Gli elementi della strategia.
Indipendentemente dalla forma e dai termini usati per esporli, i punti fondamentali della strategia sono gli stessi:

L’obiettivo.
Quale azione vogliamo che compia il consumatore? La risposta più comune è “che compri il nostro prodotto”. È ovvio che vogliamo vendere il prodotto, ma l’obiettivo vero è indurre il consumatore a provarlo, e farlo entrare nella “short list” di marchi che egli compra abitualmente. La pubblicità è produttiva se è focalizzata a cambiare un comportamento, non a modificare una convinzione. Come dice Bob Hoffman in Performance Based Advertising: “Non riusciremo a far provare i nostri prodotti convincendoli ad amare il nostro marchio, ma riusciremo a far amare il nostro marchio convincendoli a provare i nostri prodotti”. Troppa pubblicità cerca di cambiare l’atteggiamento del consumatore verso il brand per vendere i prodotti.

A chi parlare?
Se provate a parlare a tutti, non parlate a nessuno. Più è ampio il vostro target, più sarà blando il vostro messaggio. Tenete presente che più dell’80% delle vendite di qualsiasi prodotto è determinato da un 30% di consumatori, i cosiddetti heavy users. Parlate ai vostri heavy using, high yield consumer. Determinate con precisione il vostro target, non solo dal punto di vista demografico ma in base alle abitudini e agli stili di vita.

Il benefit.
Un singolo punto che vogliamo che il consumatore percepisca dal nostro messaggio. C’è stato un tempo in cui un prodotto poteva avere fino a 14 vantaggi rispetto ad un’altro, e già allora se ne selezionava uno per non saturare la percezione del consumatore. Il livellamento della qualità dei prodotti oggi rende tutto più difficile. Sforzatevi di studiare il prodotto e di trovare quella Unique Selling Proposition che Rosser Reeves indicava già nel 1961 nel suo “Reality in Advertising”. Una promessa che non solo deve essere una, ma deve essere unica. Per distinguersi da quelle della concorrenza.

Essere credibili.
Perché il consumatore dovrebbe credere a ciò che diciamo? Se il nostro brand è forte ci può aiutare, ma è meglio fornire una ragione che spieghi perchè la nostra promessa è credibile. Negli Stati Uniti il sapone Dove prometteva, a differenza degli altri saponi, una pelle morbida e idratata. La ragione per cui si poteva credere a quest’annuncio? 1/4 di crema idratante nella formulazione, sapientemente evidenziata nelle body copy.

Che tono usare.
Se la personalità del brand deve essere in linea con il target, anche il linguaggio deve essere adeguato. La comunicazione di Nike ad esempio, è forte, dinamica con visual aggressivi, giusta per un pubblico giovane e sportivo, mentre Dove si rivolge al suo target in modo lieve, delicato e credibile. Individuate quale linguaggio usa il vostro target e siate consapevoli che il messaggio verrà metabolizzato dal vostro pubblico in relazione all’ambiente, alla cultura, alle abitudini. Troppo spesso ciò che i pubblicitari intendono dire non è ciò che viene percepito dai clienti.

Evolvere la strategia.
La pubblicità è l’arte di attirare l’attenzione su una proposta di vendita, posizionando il prodotto nella mente del consumatore. Il brief fotografa la situazione del momento, concorrenza, condizioni di mercato, situazione dei media, ecc.. Su queste basi il team creativo elabora una strategia a lungo termine e il posizionamento, che durerà per tutta la vita del prodotto (salvo qualche eccezione). Alcuni elementi cambieranno nel tempo, come cambiano i mercati, cambiano i consumatori e cambiano i mezzi di comunicazione. Adattatevi, ma ricordate che il posizionamento e la strategia sono “per sempre”.

Due ingredienti segreti. Qualità…
La pubblicità funziona bene se il prodotto è buono, non è un cosmetico per coprire la mancanza di qualità. Anzi. Pubblicizzare un cattivo prodotto non fa che accelerarne il declino, diceva Bill Bernbach. Ed è vero. Se lo convincete il consumatore vi concederà la sua fiducia una volta, ma se le sue aspettative non saranno soddisfatte, parlerà male del prodotto e della pubblicità. Il segreto per restare ai piani alti è sviluppare buoni prodotti e migliorarli costantemente. La qualità genera fiducia e costruisce i brand.

…ed Emozione
Andate oltre la promessa razionale, offrite un vantaggio emozionale. La gente non compra un rasoio per avere un rasoio, quello che vuole è una rasatura perfetta. Mostrate cosa può fare il prodotto per il consumatore, qualcosa che lo faciliti, lo appaghi, lo distingua. Un orologio può diventare uno status simbol, un jeans o una scarpa da tennis sono sinonimi di libertà, una maglietta griffata non fa diventare giocatori di polo ma qualifica come “active”. Un’auto può far girare la testa ai passanti perché è esclusiva, lussuosa, sportiva, giovane o qualcos’altro… anche se la sua funzione resta quella di non farvi andare a piedi.